venerdì 9 dicembre 2016

Identità false: il fenomeno del "Catfish"

L'avvento di internet ha portato cambiamenti a dir poco epocali nella vita quotidiana: la sua diffusione a questo livello ha portato tra le altre nuove forme di relazione umana ed interazione, con l'uso di chat, forum e social network. Dietro questa tendenza alla socializzazione "indiretta" vi sono però dei rischi, il maggiore dei quali è sicuramente il fenomeno cosiddetto del "Catfish" (in italiano "pescegatto"), termine che descrive una persona che chatta, si iscrive a social ed intrattiene relazioni con altri utenti (spesso di natura addirittura sentimentale) mantenendo però un'identità falsa, fingendosi quindi un altro o comunque qualcuno che realmente non è.
Tale fenomeno ricevette una certa rilevanza a livello mediatico quando, nel 2010, uscì un docu-film incentrato su di esso: il regista e protagonista Nev Schulman racconta infatti la sua reale esperienza di quando fu "ingannato" ed iniziò una relazione telematica con una fantomatica ragazza, la quale si rivelò frutto della fantasia di un'altra donna. Il film ha poi ispirato la serie televisiva-reality di MTV "Catfish - False Identità", mantenendo lo stesso tema e contribuendo alla diffusione della conoscenza dell'argomento e dello stesso termine "Catfish".


Ci sono svariati motivi per cui un individuo potrebbe creare una "falsa identità" ed interagire tramite il web con altre persone: la paura di non essere accettati, una certa insoddisfazione riguardo la propria vita reale e la propria vera identità o anche la semplice noia. Secondo diversi studi, l'utilizzo dell'identità falsa porta un certo beneficio a livello psicologico: la possibilità di poter creare una figura immaginaria, applicarla come una maschera a quella reale ed avere interazioni con altri (che nella realtà non si avrebbe avuto il coraggio nemmeno di approcciare) utilizzando internet è certamente allettante e gratificante, soprattutto per chi come detto è insoddisfatto della propria condizione. Il supporto sociale è infatti preventivo nei confronti di possibili fattori di rischio psico-patologici, e la prospettiva sopra indicata è comunque gradevole e vantaggiosa, nonostante le implicazioni riguardanti l'identità personale che può ricadere nel falso. Siamo infatti in qualche modo predisposti a modificare alcuni aspetti della nostra figura per come appare all'esterno, a livello in questo caso di social network, soprattutto se ciò può apportarci piacere: lo ha dimostrato in particolare questo studio, in cui i soggetti avevano una diversa concezione del proprio sé reale e di quello implementato sul web, in cui infatti venivano sottolineati i propri punti di forza e minimizzati quelli deboli, cercando di rispondere ad una certa figura imposta a livello sociale.


Ma come funziona a livello psicologico tale processo? Nel 2004 John Suler pubblicò su CyberPsychology & Behaviour un articolo in cui descrive un possibile prodromo a tale tendenza: quando siamo online i filtri che di norma regolano la nostra comunicazione con il mondo esterno si lasciano andare, favorendo la nostra disinibizione nelle relazioni a livello virtuale. Tale effetto può portare a derive negative (basta pensare ai comportamenti offensivi dei cosiddetti "leoni da tastiera"), ma ha anche un risvolto positivo e di apertura agli altri e a sé stesso, potendo avere un mezzo per esprimersi "liberamente" e/o una persona con cui interagire a livello anche profondo.
La persona particolarmente incline a creare account falsi o "fake", spacciandosi per ciò che in realtà non è e traendone delle sensazioni piacevoli ottiene spesso punteggi bassi per quanto riguarda autostima ed autenticità in test appositi, derivanti a loro volta da un attaccamento (il rapporto con i genitori nei primi mesi di vita e come lo si è interiorizzato) insicuro: tali condizioni sono quindi potenzialmente fattori di rischio per sviluppare psicopatologie derivanti da tale circostanza di "falsa identità".
L'individuo che ne è interessato sta probabilmente sperimentando una deriva estrema e negativa del cosiddetto "falso sè". Autori come Donald Winnicott e Carl Rogers hanno elaborato e definito tale termine dagli anni '50 del secolo scorso: si tratterebbe di una sorta di maschera sociale, una dimensione che l'individuo utilizza per essere accettato dal mondo circostante e per nascondere il proprio "vero sé". Quest'ultimo normalmente domina la personalità ma, in alcuni soggetti, può "fuoriuscire" dai propri limiti fino a portare nei casi estremi ad una condizione psico-patologica. Chi arriva ad intrecciare relazioni sentimentali usando questa falsa "proiezione" di sé è sicuramente ad uno stadio ancora più vicino a tale circostanza, e necessiterebbe un aiuto per uscire da una dimensione dove il falso e il vero si incrociano e la menzogna è all'ordine del giorno.

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